Difficile credere agli arcobaleni

È passato un anno. Un anno di rivoluzioni e speranze. Di tutto e di nulla. Un anno esatto, da quando Olivia disegnava un calendario con i giorni che la separavano dalla fine del primo lockdown. Era fatto di 26 caselle, e ne colorava una ad ogni tramonto.

Ernesto scorrazzava fra i divani con il suo nuovo skate, divertito per quella strana condizione che ci teneva tutti, sempre, insieme. Rocco si chiudeva nei suoi pigiami di pile, anche lui felice, per non avere altra scelta che trincerarsi in camera. 

Ernesto ha imparato ad andare sullo skate in soggiorno
Rocco e il raggio di sole che ogni pomeriggio arriva nella sua cameretta

Io e Alb li abbiamo osservati nei momenti di gioia, di follia, quando raschiavano il fondo senza fine delle loro risorse. Avevano lo sguardo luminoso. Perché la luce alla fine del tunnel sembrava lontanissima, ma c’era. E ognuno procedeva in quella direzione, seppur con la propria mappa.

Noi, alle prese con la DAD

Una sera di marzo, dopo aver messo a letto i bambini, ci siamo chiesti come contribuire concretamente alla sfida che il mondo stava affrontando, ed è nata un’idea luminosa. Il giorno dopo Alberto è entrato nell’ospedale San Salvatore di Pesaro, per fotografare i segni sui volti stremati del personale sanitario. 

In poche ore, quelle foto hanno fatto il giro del mondo, e hanno ispirato una campagna di “Dove”, che ha donato 153 milioni di euro per la lotta contro il COVID.

Alcuni dei ritratti di Alb

Mentre l’asticella della libertà si spostava sempre più avanti, la nostra bolla creativa restava fertile, e nel clima di preoccupazione generale, riuscivamo a distillare la normalità in piccole gioie.

Quella routine che da tanto inseguivo, alla fine mi era caduta dal cielo e volevo coglierne ogni attimo. 

Ho raccontato il nostro primo lockdown su Marie Claire: “Ho cucinato una torta per il mio ex marito” genitori separati e i limiti del Covid
La festa di compleanno del babbo di Rocco e Olivia

Oggi però, a un anno esatto dal primo lockdown, comincio a sentirmi esausta. Questo bizzarro anniversario, ci ripropone uno scenario identico. Ma adesso mi è difficile credere agli arcobaleni. L’unico colore che vedo è più vicino alla melma dell’impotenza, al grigio di chi è rimasto senza energie.

Riguardo Olivia in questa foto, scattata quando il mondo le aveva promesso che la normalità sarebbe tornata in tempo per la festa dei suoi quindici anni. 

Questo aprile spegnerà 16 candeline, nuovamente senza amici.

Le ho insegnato a non infrangere mai le promesse, a credere nella parola data. Ma cosa potrei prometterle oggi? A quali parole dovrebbe credere?

Tre giorni fa l’ho accompagnata al liceo e mi è scesa una lacrima. Di fronte a quella scuola che avrebbe dovuto segnare gli anni più belli della sua vita, l’ho vista in una fila infinita di coetanei che attendevano il proprio turno per il tampone. Distanti, avvolti dal buio e dall’umidità della sera. 

Ore di attesa per poi tornare a casa, di nuovo. E restarci per un tempo senza fine.

Eppure Olivia non ha perso il sorriso, e nella nebbia che mi acceca in questi giorni, è il mio piccolo faro.

Sono soltanto una delle tante mamme che vacilla, cercando di fronteggiare i danni collaterali del lockdown.

Ernesto risente della nostra stanchezza, e nel bel mezzo delle sue infinite energie, ieri sera mi ha confessato di sentirsi triste, senza conoscerne il motivo. Rocco passa da un pigiama all’altro, esultando a ogni proroga di questa situazione.

Eppure ha lo sguardo perso. Mentre nei pochi giorni che aveva frequentato la scuola, era tornato a casa con la carica di chi ha le energie per “spaccare il mondo”.

Poi tutto si ferma di nuovo. Dal circolo virtuoso, si torna a quello vizioso. Nei giorni che scorrono inesorabilmente identici, tutto si confonde. L’isolamento dà assuefazione e si scambia la solitudine, per frivole certezze.

Ho sempre confidato nel mio istinto materno. Ho disertato ogni corso preparto e non ho mai letto un libro sulla genitorialità. Eppure stavolta, ho la sensazione che improvvisare non basti. Ho usato gli ultimi barlumi di lucidità per affidarmi a una psicologa dello sviluppo e dell’educazione. 

Perché scrivo tutto questo? Non certo per piangermi addosso. Tantomeno mi interessa la sterile polemica.

Semplicemente voglio raccontare a chi si sente come me, inerme, che non è il solo. Che possiamo chiedere aiuto. E perché scrivere mi aiuta sempre a mettere un punto. 

E ripartire da capo.

 

 

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