Mai avrei pensato che tanto ghiaccio potesse scaldarmi il cuore! Il mio viaggio al Polo Nord è iniziato sulle nuvole del mare artico, con la fronte incollata all’oblò del piccolo aereo e le farfalle nello stomaco per l’emozione.
La chiamano ‘polar fever’, è quella sensazione che ti prende guardando i ghiacciai per la prima volta, tanto forte da non lasciarti più andare.
Beh, io sono tornata a casa nonostante la “febbre”, ma il viaggio al Polo Nord ha cambiato per un po’ le mie prospettive. Nell’immensità dei ghiacci polari, ogni cosa umana è insignificante, non esistono suoni, odori né colori. Tutto si perde nel bianco, oppure nel nero delle notti infinite, che durante i mesi di inverno non lasciano spazio a un solo spiraglio di luce.
Quando sono arrivata io, la notte artica era quasi finita, non c’era alba né tramonto, tuttavia il sole iniziava a sfiorare l’orizzonte e senza mai oltrepassarlo tingeva di rosa le punte innevate delle montagne per ore e ore. Pian piano arrivavano le stelle (là si che sono infinite!), le tenebre si mangiavano ogni cosa e nelle notti fortunate le scie dell’ aurora boreale tingevano il cielo di magiche iridescenze.
Nel bianco della neve e nel nero della notte ho visto accendersi colori incredibili.
Il mio viaggio al Polo Nord si è spinto fino all’ultima terra abitata, nell’arcipelago delle Svalbard, una manciata di isole nel mare artico che sul mappamondo non esiste neppure, perché coperte dall’asse terrestre. (Immaginate la mia gioia nell’essere finalamente approdata sull’ isola che non c’è!)
Ny-Alesund
L’ultima città nell’estremo artico si chiama Ny-Alesund. Un pugno di case gettate nel bianco abitate da 50 ricercatori di 11 nazionalità diverse. Una mensa comune, un bar gestito dagli scienziati stessi che apre solo il sabato sera (unico giorno in cui sono concessi gli alcolici), e una pista di atterraggio ritagliata sul ghiaccio, dove due volte alla settimana un piccolo aereo atterra con rifornimenti e viveri.
Sulle mappe della città una linea rossa traccia i ristretti confini di sicurezza: i silos della vecchia miniera, una casa verde e il mare. Oltre ci sono gli orsi polari, avvertono le mappe e i cartelli nei locali della mensa; è vietato passeggiare oltre senza essere armati.
Insieme al mio compagno ero l’unica in città senza una laurea scientifica. Era l’inizio dei nostri “viaggi nel futuro” (trovate il racconto su Vanity Fair cliccando qui) ed eravamo a Ny-Alesund per incontrare i ricercatori che studiano il cambiamento climatico.
Per non disturbare le loro antenne, il segnale del telefono è azzerato, nessuna TV, un mini-market aperto solo nel weekend, e assolutamente nulla da fare per intrattenersi.
Nonostante questo, il ricordo del viaggio al Polo Nord ancora mi scalda il cuore. Ny-Alesund è fra le città più affascinanti che abbia mai visitato, e (prendetemi pure per pazza) fra le più romantiche.
L’idea di dormire nell’hotel più a Nord del modo sotto l’aurora boreale è davvero magica. E la soddisfazione di spedire una cartolina dall’ufficio postale più a nord del mondo? Impagabile! A questo punto, scatta il bacio più a nord del mondo!
Longyearbyen
Da Ny-Alesund ci siamo spostati a Longyearbyen, la “metropoli” delle isole Svalbard. Duemila abitanti di tutte le nazionalità possibili. Qualcuno di loro colpito dalla febbre polare, qualche altro in cerca di fortuna e il resto (a mio avviso) in fuga da qualcosa. Nessuno di loro però è nato in città.
“Qui a Longyearbyen è vietato nascere e anche morire” ci ha raccontato Leif, il parroco della chiesetta più a nord del mondo. Il permafrost impedirebbe la naturale decomposizione dei corpi e dal 1950 nessuno è stato più sepolto nel piccolo cimitero. Anche per ricevere la pensione è necessario migrare. Stessa cosa vale per le donne incinta, tre settimane prima del parto sono costrette a migrare nella mainland.
Protagonisti indiscussi sono sempre gli orsi polari. Rispetto a Ny-Alesund i confini di sicurezza sono più ampi, ma chiunque in città ha un consiglio su come affrontare un orso in caso di incontro ravvicinato. Il nostro room mate ad esempio, ci ha consigliato di restare immobili e fingersi morti!
Nella speranza di esorcizzare la paura degli orsi, gli abitanti di Longyearbyen ne hanno riempito la città! Da quelli giganti imbalsamati ai souvenir, in formato mini come pop corn, passando per gli orsetti di cioccolato bianco. Il re dei ghiacci si trova davvero ovunque!
In città le attività da fare sono molte (date un’occhiata qui) ma finito il lavoro, ho preferito godermi semplicemente le lunghe ore di crepuscolo prima del grande giorno. Una settimana dopo la mia partenza infatti, la tanto attesa alba sarebbe arrivata in città e già fervevano i preparativi per il Solfestuka, il festival del sole!
Era quasi l’alba di una notte lunga 4 mesi, e se avessi la fortuna di fare ancora un viaggio al Polo Nord, tornerei proprio in quel periodo di luce rosa che va da metà febbraio a fine Marzo.
Ah! Quasi dimenticavo! In mezzo ai ghiacci di Longyearbyen c’è un’enorme cassetta postale rossa dove arrivano le lettere indirizzate a Babbo Natale da tutti i bambini del mondo, me compresa! 🙂
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